(di  Massimo De Simoni)

 

E’ possibile trovare i colpevoli di un evento prima di averne accertato le cause e le conseguenti responsabilità?

E’ ragionevolmente possibile emettere sentenze prima che si apra e si concluda un’indagine peraltro fatta non solo di valutazioni giuridiche, ma anche (se non soprattutto) di complesse perizie tecniche?

E’ tollerabile che il capo del governo (in termini formali, ovviamente) possa affermare con un evidente eccesso di leggerezza che “non si possono aspettare i tempi della giustizia”? E quali altri tempi dovrebbe invece rispettare, quelli dei social e della comunicazione?

E se la stessa perversa logica fosse applicata da tutti i cittadini che ricevono un torto?

Se ognuno di noi fosse da oggi legittimato a “non aspettare i tempi della giustizia” ci potremmo ritrovare in un batter d’occhio in una società di stampo primitivo o tipo far-west, in cui ciascuno regola i conti con il prossimo secondo una propria insindacabile ed inappellabile valutazione; tutto ciò alla faccia dei concetti di Comunità, di Stato e soprattutto di Giustizia.

Il rischio è che il crollo di Genova – oltre al grande dolore per la morte di quarantatré persone incolpevoli –  segni anche la caduta della certezza del diritto e del rigore istituzionale in nome di uno squallido sciacallaggio politico che non si fa scrupolo di strumentalizzare la paura e lo sconforto dell’opinione pubblica per esibire un “cambiamento” che fa sempre più rima con risentimento e imbarbarimento.

Infatti il cambiamento in astratto non è mai un valore e i fatti sono lì a testimoniarlo.