(di Massimo De Simoni)

 

La riduzione del numero dei parlamentari ha creato la necessità di modificare il sistema elettorale, fornendo anche l’occasione per riflettere sui correttivi da apportare al meccanismo di elezione dei rappresentanti dei cittadini.

L’esperienza di questi ultimi venti anni (caratterizzati da sistemi di stampo sostanzialmente maggioritario) ha infatti evidenziato le difficoltà nel gestirne le ricadute in termini di eccessiva personalizzazione della politica; per dirla in modo ancora più chiaro, è emersa una certa impreparazione del nostro paese nel contenere le tentazioni generate da sistemi elettorali che stimolano i protagonismi individuali mettendo al centro della competizione nomi e volti (magari truccati e ritoccati, se necessario) anziché forze politiche, programmi e proposte.

E’ una pratica iniziata indubbiamente con l’apparizione sulla scena politica di Berlusconi, ma che ha velocemente contagiato anche gli altri protagonisti in campo; il consenso espresso su un nome scatena inevitabilmente un “cesarismo” che tende a far saltare i rapporti con i corpi intermedi della società, trasformando il popolo in massa.

E così la comunità nel suo complesso si impoverisce in termini di partecipazione e di condivisione rimanendo appesa ad un rapporto virtuale con il leader di turno, sentendosi magari gratificata per un “selfie” o per il coinvolgimento – attraverso la rete – anche in vicende molto personali dello stesso leader; ma in tutto ciò non vi è traccia di nulla che meriti di essere definito come “politica”.

Oggi un sistema elettorale proporzionale più che opportuno è necessario, visto che la percentuale di votanti tende a superare di poco la metà degli aventi diritto (54,5% alle ultime elezioni europee di maggio 2019).

Infatti chi oggi riesce a raggiungere la soglia necessaria a far scattare il premio di maggioranza (40%) ha in effetti il consenso di poco più del 20% del corpo elettorale; troppo poco per aggiudicarsi la maggioranza assoluta dei parlamentari con conseguente ipoteca sugli equilibri di altri organi costituzionali (Quirinale, Corte Costituzionale, CSM) che hanno anche funzioni di controllo e di garanzia. I non votanti non possono essere accreditati a nessuna delle forze in campo, neanche a chi ottiene la maggioranza pro-tempore, anche se qualcuno ha il vizio di parlare con troppa disinvoltura a nome e per conto degli “italiani”.

Il sistema elettorale proporzionale salvaguarda le singole specificità politiche incentivando il confronto parlamentare su programmi e proposte al fine di trovare delle convergenze che consentano di dare vita a dei governi di coalizione, senza uomini forti al comando o vagheggiamenti sui “pieni poteri”.

Non a caso nel ’47 i costituenti della giovane Repubblica Italiana scelsero un sistema elettorale proporzionale; il rischio di ripetere esperienze di tipo autoritario fu considerato di gran lunga più pericoloso di un’eventuale instabilità; anche se è facilmente dimostrabile che nei quarantacinque anni di cosiddetta “prima Repubblica” l’Italia ha conosciuto un periodo di sostanziale continuità di governo che risulta imparagonabile con i cambiamenti e i ribaltoni che sono seguiti negli anni successivi.

La politica non può esaurirsi nella dimensione della competizione al pari di un’attività sportiva. La politica deve tornare ad essere occasione di confronto e di sintesi tra idee diverse, di composizione di interessi che, pur in contrapposizione tra loro, concorrono a far crescere una comunità organizzata.