(di Massimo De Simoni)
E’ sempre arduo definire in modo adeguato le ragioni dell’impegno dei cattolici nella vicenda politica. Tra le tante mi piace ricordare il pensiero di Scoppola che definiva la politica “un modo di credere” come anche le parole attribuite a Papa Montini per una politica come “forma più alta della carità”. Ci si riferisce ovviamente ad una politica fatta con onestà e dedizione per raggiungere obiettivi legati al bene comune e non ad interessi particolari, con l’ambizione di non limitare il proprio impegno al perimetro della legalità facendo una valutazione supplementare anche in ordine al senso di giustizia delle norme e delle scelte che promanano dalla politica stessa.
L’uomo è per sua natura fallace e quindi anche la legalità – che è frutto dell’attività umana – può risultare condizionata da limiti e imperfezioni che sono insiti in ogni attività terrena; la divaricazione tra legalità e giustizia impone quindi al cattolico un ulteriore discernimento tra ciò che è soltanto legale e ciò che (oltre che legale) è anche giusto.
La storia più o meno recente propone diversi esempi di accadimenti, che pur rientrando nel perimetro della legalità formale, sono e restano profondamente ingiusti se non addirittura vergognosi e uno degli esempi più eloquenti in questo senso è certamente quello dalle leggi razziali del 1938. Ma anche alcune norme recentemente volute dalla Lega in Italia (come il divieto di salvare vite umane in mare o la legittimazione di discriminazioni sociali ed economiche tra persone di diverse etnie o tra bambini di una stessa scuola) sono in netto contrasto con un principio di giustizia accettabile per un cattolico, ma anche per molte persone animate da buon senso e sentimenti di rispetto per il prossimo.
E’ facile immaginare l’obiezione sul chi e sul come si può distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è.
La questione si può prospettare problematica per chi si ponesse di fronte al quesito in modo astratto, ma non per chi cercherà la risposta facendo riferimento ai valori del cristianesimo e del Vangelo; per il credente non è giusto tutto quel che risulta in contrasto con il rispetto dell’uomo e della sua dignità di persona, ovvero con un’idea di mondo in cui ogni uomo – ognuno di noi – è l’altro e come tale è un dono per l’intera comunità umana.
“Dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio” ci ricorda che le vicende terrene non possono essere confuse con ciò che promana dal Creatore, che nessun uomo può prevalere su ciò che Dio ha creato, che nessun potente può disporre dell’altrui vita e dignità umana. E’ in questo spazio valoriale che risiede la ragione profonda della necessaria distinzione tra legalità e giustizia. E in questo spazio il credente è chiamato a dare il proprio contributo per la costruzione della città dell’uomo, come realtà che chiede ai suoi abitanti un impegno per il bene comune.