(di Massimo De Simoni)
Questa è la domanda che il malefico virus sembra porci ogni giorno come un criminale che si aggira nelle nostre città e si insinua nella nostra vita. Ma purtroppo questo è anche il quesito attorno al quale si sviluppa il dibattito tra attori – non sempre di grande spessore – che mettono costantemente in contrapposizione salute e lavoro o meglio vita ed economia, evidenziando comportamenti che sembrano finalizzati più ad utilizzare l’emergenza-Covid per scopi diversi piuttosto che a cercare soluzioni per superare le tante difficoltà create dall’emergenza epidemiologica.
Tra questi si distinguono in modo particolare coloro i quali – sprezzanti del ridicolo – si sono esibiti in spericolate “conversioni ad U” riuscendo a passare, nell’arco di pochi giorni, da accuse di indecisionismo (“..il Governo non è in grado di prendere decisioni..”) ad accuse di decisionismo per i provvedimenti che – dolorosamente, ma necessariamente – sono stati assunti.
In un momento difficile e delicato come quello che stiamo attraversando la destra nostrana non riesce ad andare oltre lo stereotipo di slogan logori e consumati, nel tentativo di cavalcare anche le proteste più illogiche e sgangherate organizzate da facinorosi abituali; una conferma dell’inadeguatezza a governare il paese con il necessario senso di responsabilità.
E’ sconcertante ascoltare critiche per definire insufficiente ogni sostegno o ristoro messo in campo dal Governo o proclami che vanno dal “chiudete tutto” ad “aprite tutto” in funzione degli uditori del momento o dei sondaggi sugli umori dell’opinione pubblica; in questo senso è emblematica la polemica estiva sulla “necessità” di riaprire le discoteche. La rincorsa dei sondaggi non è una novità, ma la differenza rispetto al passato e che oggi in ballo c’è la salute e la vita delle persone e quindi anche quella di ciascuno di noi e quella delle persone a noi più prossime.
Di fronte al quesito che fa da al titolo a questa nota, scegliamo sempre di cedere la borsa e non la vita.