(di Massimo De Simoni)
Se vince la retorica non si prende parte alle riunioni istituzionali, perché si preferisce “incontrare i lavoratori del porto”; se vince la retorica non si partecipa ai lavori del Parlamento perché “la vita vera è fuori dal palazzo”; se vince la retorica non si svolge la propria funzione istituzionale perché “è meglio stare tra la gente” (magari a fare selfie..); se vince la retorica si organizza una manifestazione con tanto di striscione (evidentemente preparato da tempo) per poi fingersi sorpresi per l’assembramento.
In altre parole, se lasciamo vincere la retorica avalliamo la logica sterile e disfattista di chi fa l’elenco dei problemi (meglio se davanti ad una telecamera), ma non accetta di lavorare insieme per cercare qualche soluzione; l’importante è indossare una mascherina tricolore, per toglierla puntualmente quando ci si avvicina alle persone perché altrimenti le foto vengono male.
Arrendersi alla retorica significa rinunciare allo sforzo del ragionamento e alla sobrietà della riflessione, ovvero agli elementi necessari per la crescita di una comunità organizzata. In questa società che vive di comunicazione e (soprattutto) per la comunicazione, il consenso si aggrega creando delle suggestioni anziché formulando delle proposte; troppo spesso ci si ritrova ad ascoltare passivamente, senza un vero confronto. Questa dinamica del consenso spiega (ma non giustifica) gli eccessi di alcuni leader alla continua ricerca di spazi mediatici e visibilità, anche attraverso la spettacolarizzazione della vita privata (cosa mangio, come mi vesto, ecc.). La buona politica invece deve innanzitutto saper ascoltare, senza negare la complessità e senza rinunciare al confronto anche nelle situazioni più difficili.