(di Massimo De Simoni)
E’ stata una inconsueta benedizione “Urbi et Orbi” quella che Papa Francesco ha impartito venerdì 27 marzo in un’insolita Piazza San Pietro completamente deserta.
Nella stessa giornata a qualche centinaio di metri in linea d’aria, dal colle del Quirinale, il Presidente Mattarella rivolgeva agli italiani un messaggio di unità ed incoraggiamento per uscire dalla grande difficoltà che attanaglia il Paese come anche gran parte del mondo; due messaggi che hanno sottolineato l’esigenza di stare uniti in questo grande sforzo e che sono stati dati nella stessa giornata anche per dare un segnale di unità lasciando da parte qualunque preoccupazione per sovrapposizioni di tipo comunicativo.
Il brano in cui l’evangelista Marco riporta l’episodio della barca nella tempesta con i discepoli “impauriti e smarriti” fotografa in modo plastico la condizione umana in questa tragedia planetaria che ci ha reso tutti importanti e necessari per raggiungere l’obiettivo di sconfiggere il virus. “Siamo tutti sulla stessa barca” ci ha ricordato Francesco; quante volte lo abbiamo ripetuto, ma più come abitudinaria convenzione che non per reale convinzione.
In questa vicenda invece ciascuno di noi, attraverso il suo comportamento responsabile, è chiamato a dare il proprio concreto contributo ad una causa per il bene comune diventando necessario per l’intera comunità.
La difficoltà ci sta insegnando – più di qualunque sermone – che non possiamo vivere in una dimensione di stretto individualismo incuranti del nostro prossimo e su quella barca ci siamo riscoperti tutti più fragili e disorientati, perché stiamo toccando con mano come in un istante ci si può ritrovare “nel mare in tempesta” a lottare per la sopravvivenza.
“Svegliati Signore!” ha detto Papa Francesco sul sagrato di San Pietro; non un rimprovero, ma l’invocazione che riecheggia quella dei discepoli che sentendosi persi e consci dei loro limiti, si affidano al Signore e lo svegliano affinché plachi la furia delle acque; è l’invocazione rivolta al Padre da noi, suoi figli che – come dice il Papa – superano l’anestesia degli stereotipi, l’umana tentazione e terrena presunzione di autosufficienza.