(di Massimo De Simoni)
Sono trascorsi giorni – e anche pochi – dalla scomparsa di Noa Pothoven, la giovanissima ragazza olandese morta in forza di una legge che “autorizza” il suicidio; sono passati pochi giorni, ma le cronache dei giornali sembrano aver rimosso del tutto la notizia e le conseguenti riflessioni.
In questa vicenda non è probabilmente opportuno fare valutazioni che investono la sfera familiare, immaginando il dolore di un genitore che (stando alle ricostruzioni giornalistiche) tiene per mano la figlia che sta morendo. Un dolore di questo tipo merita in ogni caso rispetto.
E’ invece doveroso fare una considerazione sul ruolo che deve avere uno Stato nei confronti di una persona e di una famiglia che si trovano ad affrontare una grande difficoltà, addirittura di carattere esistenziale.
Non è accettabile che la presenza di uno Stato si manifesti attraverso un consenso per il suicidio, anziché operare per il benessere dei propri cittadini; non è possibile che una famiglia accetti, in modo più o meno impotente, il suicidio assistito della propria figlia.
La triste vicenda di Noa ci deve far riflettere su quale modello di società stiamo costruendo e su quale funzioni deve svolgere uno Stato, visto che un commento ricorrente è stato quello relativo alla necessità di una legge simile anche nel nostro Paese. Diciamo con chiarezza che vogliamo uno Stato che ci aiuti, ma non a morire prima.